dal blog di Beppe Grillo :

la settimana lavorativa di 4 giorni

Il governo belga ha concordato un nuovo accordo sul lavoro per portare flessibilità a un mercato del lavoro altrimenti rigido.

Il primo ministro Alexander De Croo ha affermato che la pandemia ha costretto le persone a lavorare in modo più flessibile e a combinare vita privata e lavorativa. “Ciò ha portato a nuovi modi di lavorare”.

I cittadini belgi potranno anche scegliere di lavorare di più per una settimana e meno per quella successiva, consentendo alle persone di gestire meglio la propria vita professionale-privata, ad esempio in caso di co-genitorialità o aprendo la possibilità a weekend lunghi permanenti.

L’accordo introduce anche il diritto alla disconnessione dopo il normale orario di lavoro per le aziende con più di 20 dipendenti. Si avrà diritto di spegnere i dispositivi di lavoro e ignorare i messaggi dopo l’orario di lavoro senza timore di ripercussioni.

La riforma del lavoro in Belgio arriva dopo il successo stravolgente della settimana corta in Islanda tra il 2015 e il 2019. Ora l’86% della forza lavoro del paese lavora con una settimana lavorativa ridotta. Anche Spagna, Scozia e Giappone hanno annunciato l’intenzione di provare settimane lavorative di quattro giorni.

A quando in Italia? E’ ora che la settimana lavorativa di 4 giorni sia al centro del nostro dibattito.

dal blog di Beppe Grillo :

Lavorare 4 giorni a settimana

Il governo belga ha concordato un nuovo accordo sul lavoro per portare flessibilità a un mercato del lavoro altrimenti rigido.

Il primo ministro Alexander De Croo ha affermato che la pandemia ha costretto le persone a lavorare in modo più flessibile e a combinare vita privata e lavorativa. “Ciò ha portato a nuovi modi di lavorare”.

I

di Valentina Petricciuolo – Natasha Walker è una ricercatrice e consulente londinese che si occupa, tra le altre cose, di problematiche legate al lavoro per la società di marketing strategico The Mix.

La Walker ha recentemente concentrato la sua attenzione sullo stress causato dal superlavoro e sulle dinamiche perverse che oggi caratterizzano tutti coloro che, in un modo o nell’altro, si trovano a dover fronteggiare una spirale negativa di angoscia esistenziale e depressione.

Il lavoro, infatti, è diventato una delle maggiori fonti di stress perché è alienante, spesso inutile e demotivante.

La soluzione che Natasha Walker e i suoi colleghi propongono è di adottare una settimana lavorativa di 4 giorni.

Per corroborare e supportare questa tesi hanno realizzato il rapporto Four, what is it good for? (Quattro, perchè è la scelta giusta?) che delinea i presupposti che, secondo loro, sono alla base della adozione della settimana lavorativa di 4 giorni.

La prima parte del rapporto è dedicata ad un excursus su quanto sia dannoso e deleterio il lavoro che siamo abituati a considerare come un dovere morale. Proprio come sta succedendo in Giappone, dove si lavora fino a morire. O come succede in Corea del Sud dove, incredibile a dirsi, migliaia di super-stressati dal lavoro si ritirano in una “finta prigione” – Prison Inside Me – per ritrovare…la libertà.

Anche in Gran Bretagna, il paese oggetto del rapporto, lavorare è diventato un incubo che perseguita le persone sempre e ovunque, senza tregua e senza possibilità di staccare la spina. Con l’aggravante di una mancanza di coinvolgimento e di motivazione, come è emerso dai risultati di una ricerca Gallup che ha rivelato che, nel 2016, solo l’8% della popolazione dichiarava di trovare nel lavoro un significato e uno scopo.

La soluzione potrebbe essere quella di adottare una settimana lavorativa di 4 giorni e l’esperimento che The Mix ha condotto tra i propri dipendenti lo ha dimostrato. The Mix ha introdotto la settimana lavorativa di quattro giorni per tutti, da lunedì al giovedì, senza tagli allo stipendio, e senza obblighi di reperibilità o di altre forme di lavoro nei giorni liberi.

Il risultato è stato sorprendente. In un anno gli utili della società sono aumentati del 57% e i clienti sono cresciuti del 100%! Con commenti super entusiastici sia dai clienti dell’agenzia che dallo staff.

Sembra incredibile ma, in pochi decenni, si è passati dal lavorare 6 giorni a settimana a fine ottocento, alla direttiva dell’unione Europea del 1970 che istituiva la settimana lavorativa di 5 giorni. E già Winston Churchill, nel 1953, aveva previsto che si sarebbe arrivati a lavorare 4 giorni a settimana grazie al progresso tecnologico. Così come aveva detto Keynes prima di lui nel 1935, preconizzando un mondo dove tutti avrebbero potuto godere del tempo libero per vivere la propria vita e lavorare solo 15 ore alla settimana.

Secondo i dati OCSE, in Gran Bretagna si lavora più ore rispetto ad altri paesi come Germania e Francia ma con una produttività più bassa: laddove i tedeschi e i francesi riescono a completare il loro lavoro già entro il giovedì, i britannici devono darci dentro fino al venerdì.

Ma perché si lavora tanto e si produce così poco? La causa potrebbe essere il modo in cui si misura la produttività in una società in cui il lavoro è cambiato completamente e si è passati dalla catena di montaggio ad una economia basata prevalentemente sui servizi. Molti sono i cosiddetti “lavoratori della conoscenza” – knowledge workers – pagati per produrre idee piuttosto che oggetti tangibili. Ed è difficile misurare la vera produttività di chi sembra essere occupato ma che, in realtà, fa solo finta di esserlo rispetto a chi, invece, magari contempla il paesaggio – e quindi in apparenza se ne sta in ozio – per poi sfornare brillanti innovazioni e idee promettenti.

Secondo una vecchia storiella napoletana risalente al 1800, un ufficiale della Marina Regia Borbonica, per prepararsi alla imminente visita del Re sulla nave ancorata nel porto di Napoli, sembra avesse ordinato a tutti i membri dell’equipaggio di “fare ammuina”: Tutti quelli che stanno a prua vadano a poppa, e quelli a poppa vadano a prua; quelli a dritta vadano a sinistra e quelli a sinistra vadano a dritta; tutti quelli sottocoperta salgano sul ponte, e quelli sul ponte scendano sottocoperta, passando tutti per lo stesso boccaporto; chi non ha niente da fare, si dia da fare qua e là.

Rispetto al passato, quando il tempo libero e la possibilità di non lavorare erano considerati la prova del vero successo, oggi siamo tutti ossessionati dal dover dimostrare di essere indispensabili. Ed è per questo che l’essere sempre occupati è diventata la risposta standard che diamo a chi ci chiede “come va?” Quasi un mantra che ci ripetiamo per non pensare a cosa sarebbe la nostra vita se davvero ci fermassimo a riflettere sulla inutilità di tante attività che portiamo avanti quasi meccanicamente.

In realtà la ricerca ci dice che la stragrande maggioranza delle persone può lavorare davvero per un massimo di 4 ore al giorno.

E se il nuovo giovedì diventasse sul serio l’attuale venerdì? Il risultato potrebbe essere quello di liberare la forza creativa che c’è in tutti noi. Perché è stato dimostrato che la creatività nasce e si sviluppa nei momenti di “ozio” e non quando si è occupati in mille incombenze noiose, ripetitive e inutili. Il nostro cervello reclama a gran voce il riposo e la serenità.

Lavorare di meno fa bene alla salute del singolo e, di conseguenza, a tutta la collettività. Per non parlare dei vantaggi che avrebbe l’ambiente e il pianeta se si risparmiasse in inutili costi di trasporto e di energia. E senza contare il fatto che lavorare solo 4 giorni a settimana favorirebbe le donne in particolare e aiuterebbe tutti a gestire meglio la vita familiare.

Il lavoro sta cambiando profondamente. Oggi l’aspettativa di vita è enormemente cresciuta rispetto a 20 o 30 anni fa. Se dobbiamo lavorare tutti di più negli anni a venire, allora l’unica soluzione è lavorare di meno durante l’arco della vita e, soprattutto continuare a crescere e a cambiare per adattarsi al nuovo che avanza. Come è stato fatto in Germania nel 2008 quando, per affrontare la crisi, fu deciso di lavorare solo la metà del tempo con una paga dell’80% rispetto al tempo pieno.

Certo la soluzione della settimana lavorativa di 4 giorni non è semplice da adottare. Bisogna discuterne, analizzarne le implicazioni, pianificare. Ma è possibile farlo e i benefici sarebbero enormi.

E’ tempo di cambiare. Nel rapporto si dice: “L’esperimento della settimana corta può essere considerato difficile da replicare. Ma in realtà, se ci pensiamo, solo pochi anni fa le donne non potevano votare, le cinture di sicurezza non erano obbligatorie e si fumava in tutti i luoghi pubblici. Così come quando fu abolito il lavoro infantile, considerato normale nell’era vittoriana, in molti si lamentarono che sarebbe stato un disastro per l’economia.”

La settimana corta non è la soluzione adatta a tutti. Ci saranno sempre coloro che – imprenditori, freelance, appassionati – non faranno distinzione tra vita e lavoro e continueranno a fare ciò che vogliono fare. Ma per scelta. Non c’è nulla di male in questo, anzi. Perché quel lavoro ha un significato, c’è uno scopo.

Nel 2020 si stima che il 40% circa del lavoro sarà automatizzato. Sta a noi affrontare questo nuovo paradigma in maniera costruttiva e considerarlo un nuovo rinascimento sociale. Potrà essere dato a tutti un reddito di base universale o potremo tassare i robot. Tutte le possibilità andranno valutate ma abbiamo la possibilità di fare una rivoluzione pacifica, al contrario di quello che è avvenuto nei secoli passati.

In Italia, sia nella pubblica amministrazione che nel settore privato, c’è una enorme ipocrisia e tanta apparenza. Il lavoro vero, quello produttivo, è una minima parte della giornata che si passa chiusi nei grigi palazzi della burocrazia o nei cosiddetti “cubicoli”. Eppure si viene premiati – in termini di denaro – se si timbra il cartellino e si è presenti in ufficio più degli altri. Gli straordinari si fanno per guadagnare di più, ma non perché ci sia davvero del lavoro extra da fare.

Anche in altri paesi si registrano sempre di più casi di “nullafacenti”, fatto che denota quanto sia distorto il sistema in cui viviamo. Come l’impiegato di un comune tedesco che, ormai pensionato, scrisse una mail ai suoi colleghi confessando di non aver fatto nulla per 14 anni ma di avere ricevuto lo stesso il suo normale stipendio nell’arco degli anni per una cifra pari a 1 milione di dollari. O il caso di un dipendente spagnolo la cui assenza fisica dall’ufficio era rimasta inosservata per ben 14 anni. Anni spesi a studiare filosofia nella propria abitazione. Ed esempi simili si trovano in Francia, negli USA e perfino in India. Altro che “furbetti del cartellino”.

Una volta tanto dovremmo riconoscere che “il re è nudo” e rendere ufficiale qualcosa che è ormai una abitudine diffusa (grazie a trucchi ed espedienti vari): garantire una settimana di soli 4 giorni lavorativi laddove possibile (e ce ne sono di possibilità!). Ne guadagneremmo in salute, risparmio energetico e benessere della società in generale.

cittadini belgi potranno anche scegliere di lavorare di più per una settimana e meno per quella successiva, consentendo alle persone di gestire meglio la propria vita professionale-privata, ad esempio in caso di co-genitorialità o aprendo la possibilità a weekend lunghi permanenti.

L’accordo introduce anche il diritto alla disconnessione dopo il normale orario di lavoro per le aziende con più di 20 dipendenti. Si avrà diritto di spegnere i dispositivi di lavoro e ignorare i messaggi dopo l’orario di lavoro senza timore di ripercussioni.

La riforma del lavoro in Belgio arriva dopo il successo stravolgente della settimana corta in Islanda tra il 2015 e il 2019. Ora l’86% della forza lavoro del paese lavora con una settimana lavorativa ridotta. Anche Spagna, Scozia e Giappone hanno annunciato l’intenzione di provare settimane lavorative di quattro giorni.

A quando in Italia? E’ ora che la settimana lavorativa di 4 giorni sia al centro del nostro dibattito.

dal blog di Beppe Grillo :

Islanda:un successo travolgente la settimana lavorativa di 4 giorni

Il governo belga ha concordato un nuovo accordo sul lavoro per portare flessibilità a un mercato del lavoro altrimenti rigido.

Il primo ministro Alexander De Croo ha affermato che la pandemia ha costretto le persone a lavorare in modo più flessibile e a combinare vita privata e lavorativa. “Ciò ha portato a nuovi modi di lavorare”.

“Un successo travolgente”. É questa la definizione di alcuni ricercatori sui risultati delle prove di una settimana lavorativa di quattro giorni in Islanda, in cui gli impiegati sono stati pagati lo stesso importo per orari più brevi, con uguale profitto.

I test hanno portato i sindacati a rinegoziare i modelli di lavoro, e ora l’86% della forza lavoro islandese è passata a orari più brevi per la stessa retribuzione, o ne avrà diritto, hanno riferito i ricercatori del think tank britannico Autonomy e dell’Associazione per la democrazia sostenibile (Alda) in Islanda.

Secondo quanto raccontato dalla Bbc, i test si sono svolti tra il 2015 e il 2019, e la produttività è rimasta la stessa o è migliorata nella maggior parte dei luoghi di lavoro.

In Islanda, le prove condotte dal consiglio comunale di Reykjavík e dal governo nazionale hanno coinvolto più di 2.500 lavoratori, pari a circa l’1% della popolazione attiva islandese. Hanno partecipato una serie di luoghi di lavoro, tra cui scuole materne, uffici, fornitori di servizi sociali e ospedali. Molti di loro sono passati da una settimana di 40 ore a una settimana di 35 o 36 ore, hanno affermato i ricercatori. I lavoratori hanno riferito di sentirsi meno stressati e a rischio di esaurimento e hanno dichiarato che la loro salute e l’equilibrio tra lavoro e vita privata sono migliorati.

«Questo studio mostra che la più grande prova al mondo di una settimana lavorativa più corta nel settore pubblico è stata sotto tutti i punti di vista un successo travolgente», ha detto Will Stronge, direttore della ricerca presso Autonomy. «Dimostra che il settore pubblico è maturo per essere un pioniere delle settimane lavorative più brevi – e altri governi possono trarne lezioni».

Sono moltissime le aziende che stanno sperimentando nel mondo la settimana lavorativa breve.  Dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti, fino al Giappone. A quando in Italia?